PLOTINO
ENNEADI
PRIMA VERSIONE INTEGRA E COMMENTARIO
CRITICO
DI
VINCENZO CILENTO
VOLUME III
PARTE PRIMA: VERSIONE DI
ENN. V E VI
BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI
1949
Enneade V, 1
< 10 >
I. – Qual è mai la causa che ha reso le anime – le quali pur sono parti staccate di lassù e appartengon anzi completamente al mondo superno – dimentiche del loro padre Iddio e ignare di se stesse e di Lui? Ebbene, prima radice del male, per esse, fu la temerarietà, e poi il nascere e l’alterità primitiva e la voglia di appartenere a se stesse. Così, ebbre, visibilmente, di quella loro autodeterminazione, poi ch’ebber fatto il più largo uso di quel loro spontaneo movimento, dopo quella gran corsa sulla via contraria, distanziate che furono per sì gran tratto, finirono alfine per ignorare se stesse e la loro origine: quasi fanciulli che, strappati troppo presto ai genitori ed allevati lungo tempo lontano, non riconoscono più né se stessi né i loro genitori.
Le anime, dunque, non scorgendo più né Lui né se stesse, disistimandosi, per ignoranza della loro stirpe, ed apprezzando invece le altre cose, ammirando, anzi, tutte le cose più che se stesse, trasalirono, attonite, di fronte a loro e ne furono avvinte; e si strapparono, a tutto potere, dalle cose donde avevan già volto le spalle, sprezzantemente. Così risulta che di quella totale ignoranza di Dio unica causa è il dar pregio alle cose terrene e disprezzo al proprio essere. Certo, cosa perseguita e cosa ammirata van di pari passo e chi ammira e persegue confessa, con ciò stesso, la sua inferiorità; però, col porsi al di sotto di ciò che nasce e muore, col solo supporre di essere la più spregevole e mortale tra | 4 | le cose che stima, uno non saprà giammai concepire, nell’intimo suo, né la natura né la potenza di Dio.
Perciò occorre che si svolga su due direzioni il ragionamento contro coloro che così si atteggiano, se uno voglia davvero volgerli alla via opposta e alle prime cose e farli risalire alla vetta più alta: l’Uno e il Primo. Quale è l’uno e quale è l’altro? L’’uno addita la viltà di ciò che l’anima attualmente onora e questo noi lo esporremo più diffusamente altrove: l’altro ammaestra l’anima e le suggerisce, per così dire, il ricordo della sua origine e del suo valore e questo ragionamento ha la precedenza sull’altro e, chiarito che sia, può gettar luce altresì sull’altro. Parliamone subito, dunque; ché questo tocca immediatamente l’oggetto che si va cercando e giova pure a quell’altro ragionamento. Poiché il soggetto indagante è proprio un’anima e un’anima deve ben conoscere che cosa sia ella che cerca, affinché, apprendendosi, possa anzitutto misurare se stessa: se cioè abbia la forza d’istituire una tale indagine, se abbia occhi di tanto acume che sappian vedere e, infine, se metta conto di ricercare. Ché se, per esempio, si trattasse di cose estranee, a che cercarle? ma se si tratta di cose affini non solo v’è convenienza a cercare ma v’è pure la possibilità di trovare.
II. – Allora, ponderi bene questo, anzitutto, ogni
anima che proprio essa, cioè, ha creato i viventi tutti, spirando in loro la
vita: e quei viventi che nutre la terra e quelli che nutre il mare e quelli che
dimoran nell’aria e quelli che dimoran nel cielo – astri divini – ; che essa ha creato il sole; che essa ha creato
pure questa volta immensa di cielo; ed essa l’adornò; essa la fa roteare in una
determinata norma, pur essendo in se stessa una natura differente dalle cose che
ordina e dalle cose che muove; inoltre, quanto alle cose che vivifica, ella è
necessariamente più degna di onore di loro, poiché, mentre tali cose van
soggette al nascere e al perire (sol che, rispettivamente, l’anima le abbandoni
o elargisca loro il vivere), l’anima, per contro, esiste eternamente per il
semplice fatto che non abbandona mai se stessa. |5 |
Ora, quanto alla maniera della elargizione del vivere sia al complesso del mondo sia ai singoli esseri, se la renda chiara ella stessa come segue.
Voglia ella però considerare ben bene la grande Anima., ella che è, sì, un’altra anima, ma non è già una piccola anima, dal momento che è stata fatta degna di tale considerazione, appena sia libera dall’inganno e dal fascino che sedusse le rimanenti, in uno stato di tranquillità. Ma pacato sia, per lei, non solamente il corpo che la precinge e il flusso corporeo, ma ancora tutto ciò che la circonda: in pace, la terra; in pace, il mare e l’aria e il cielo stesso ch’è più buono di lei.
E pensi che in questo cielo fermo da ogni parte, dal di fuori, per così dire, l’anima si riversi e vi scorra dentro e lo penetri da ogni parte e lo illumini: come raggi di sole fanno risplendere una nube oscura al semplice tocco della loro luce e ne traggono una visione d’oro, proprio così anche l’anima, entrata che sia nel corpo del cielo, gli dà immediatamente vita, gli dà l’immortalità, lo tiene desto mentre esso si abbandona. Così esso, vòlto in un movimento eterno ad opera dell’anima, che sapientemente lo guida, divenne un vivente beato; anzi la sua dignità il cielo la ricevette solo quando l’anima si trapiantò in lui, giacché, prima che l’anima entrasse, esso era un corpo morto, terra ed acqua o, piuttosto, oscurità di materia e non-essere e ciò che gli dèi hanno in odio, come è detto non so dove. Pure, potrà divenire più manifesta e più chiara la potenza dell’anima e così anche il suo essere, qualora, uno, in questo problema, rivolga i suoi pensieri alla maniera ond’essa abbraccia e conduce, con la sua volontà, il cielo.
Infatti, a questa intera sua massa, sin là
dov’essa si estende, l’anima si è abbandonata e non c’è distanza – grande o piccola che sia – la quale non sia animata; solo che, mentre la
massa corporea è sempre diversa a seconda che sia in un punto o in un altro e un
pezzo si trova qui e lì se ne trova un altro e alcuni sono in località
contrapposte, altri son diversamente separati tra loro, l’anima, per contro, non
| 6 | si comporta in tal
maniera e non si riduce in frantumi per vivificare con un frammento di sé ogni
singola cosa; no, ma tutte le singole cose vivono in virtù dell’anima intera
ond’ella è presente, tutta quanta, per ogni dove, assimilata com’è al Padre che
la generò, sotto questo profilo ch’ella è una unità ed è dappertutto. Così, pur
diffuso com’è, e diverso a seconda dei punti considerati, il cielo è unitario
per la potenza dell’anima; e pure in
grazia di questa è una divinità questo nostro mondo. Ma anche il sole è un dio
perché c’è l’anima in lui e così pure si dica delle rimanenti stelle; e noi, se
pur siamo qualcosa, lo siamo per questa ragione, poiché ‘la nostra salma va
gettata via più che se fosse dello stabbio immondo’. Ma occorre che l’anima
– la quale fa si che gli dèi siano dèi – sia essa stessa una divinità più veneranda di
loro. Anche l’anima nostra però è specificamente somigliante agli dèi e appena
tu la osservi senza le aggiunte e la cogli nella sua purezza, tu troverai quella
stessa cosa veneranda che era appunto l’Anima, più veneranda, dico, di tutto ciò
che sia corporeo. Poiché tutto è terra; ma se pur fosse fuoco chi mai
l’accenderebbe se non l’Anima? Tant’è pure di ogni loro composto, anche se tu vi
aggiunga e acqua e aria. Ma se tutto può essere degno che tu lo persegua solo
perché v’è l’anima in esso, perché si vuole allora trascurare se stessi e
perseguire un altro? che se è l’anima ciò che apprezzi in altrui, apprezza
allora te stesso.
III. – Così è, in verità: venerabile e divina cosa è
l’anima; fiducioso oramai di poter
seguire Dio con tale mezzo, sali, su così buon fondamento, sino a Lui: non
avverrà mai che tu sbalestri, lontano; né, del resto, ce ne son poi molti di
gradi intermedi ! Tocca pertanto quel regno vicino all’anima, verso le altezze,
il quale è ben più divino di questa divina cosa ch’è l’anima, quel regno dopo il quale e dal quale
l’anima sorge; poiché, pur essendo
tal cosa quale la nostra esposizione provò, essa è sempre immagine dello
spirito: come il pensiero nel suo enunciarsi è immagine del | 7 | pensiero chiuso
nell’anima, così, credetemi, anche l’anima è un pensiero dello Spirito e,
precisamente, è quel complesso di attività e quella vita che lo Spirito proietta
per far sussistere il diverso. Pensate al fuoco: esso è, da un canto, il calore
che se ne sta, con lui; ma vi è pur, d’altro canto, il calore che esso
elargisce: li però, nello Spirito, occorre concepire una attività non già
scorrente ma ferma in esso, mentre lattività estrinseca sussiste distinta.
Orbene, giacché l’Anima deriva dallo Spirito, ella è spirituale e nelle
riflessioni si insinua il suo spirito, e il suo perfezionamento dipende sempre,
novellamente, da Lui che è come un padre il quale cominciò già a nutrire la sua
creatura, generata imperfetta nei confronti di Lui.
Così, e l’esistere le deriva dallo Spirito, e l’atto del suo pensare consiste nel fatto che lo Spirito è contemplato dall’Anima; vogliam dire che quando questa figge lo sguardo nello Spirito, in realtà essa trae dal suo fondo e proprio come cose di sua pertinenza tutto ciò ch’ella pensa ed attua. E questo solo vuol esser chiamato atto dell’anima: tutto ciò che è spiritualizzato, tutto ciò che sorge dalla casa dell’anima ! Le cose inferiori, per contro, vengon da tutt’altra fonte e in un’anima corrispondente costituiscono affezioni. Lo Spirito, insomma, sempre più divinizza l’Anima sia perché Egli è suo padre, sia perché le è presente; poiché nulla si frappone tra loro fuor che l’alterità, nel senso tuttavia che l’Anima è il grado successivo ed è come il ricettacolo mentre lo Spirito è forma. Bella è peraltro finanche la materia dello Spirito poiché è di specie spirituale ed è semplice.
Ma di qual natura sia lo Spirito, ciò si renderà
chiaro per questa stessa via: Egli, cioè, è da più dell’Anima che ha pur tanto valore.
IV. – Ma si può pure vederlo da quanto segue: se uno
mira questo nostro mondo sensibile, considerandone la grandezza e la bellezza e
l’ordine dell’eterno roteare e gli dèi che sono in esso – gli uni visibili, gli altri invisibili
– e i | 8 | dèmoni e gli animali
e le piante tutte, salga allora al suo archetipo e a quel reale che è tanto più
vero e contempli lassù tutte queste cose esistenti in una natura spirituale ed
eterna presso di Lui, in una coscienza e in una vita tutta loro propria e poi
contempli il puro Spirito loro dominatore e la Sapienza instancabile e quella
vita che è veramente tale sotto Satur-nus, il dio che è sazietà e nus (Spirito)
!
Certo, Egli abbraccia in se stesso tutte le cose
immortali, ogni spirito, ogni dio, l’anima intera, ferma, per l’eternità. A che
poi dovrebbe cercar di cambiare, se Egli è beato? Dove mai si sognerebbe di
trapassare, se ha tutto in sé? Intanto, Egli non cerca neppure di aumentare,
essendo già perfettissimo. Perciò ancora, tutto ch’è in Lui è perfetto, a che
Egli sia per ogni verso perfetto e non rechi in sé nulla che non sia tale;
poiché non ha nulla, in se stesso, che non pensi: egli pensa, beninteso, non già
come uno che cerchi, ma come uno che possegga. Così, la beatitudine non gli
viene d’accatto perché Egli è già tutto, nell’eternità, è, intendo, la verace
Eternità, della quale il tempo che scorre sull’Anima e la cinge è semplicemente
una immagine, quel tempo che lascia cadere alcune cose per andare incontro a
certe altre ! Poiché cose perennemente nuove vorticano sull’Anima: una volta
Socrate, un’altra volta un cavallo, uno qualunque degli esseri, insomma, senza
interruzione. Lo Spirito, invece, è tutto; Egli serra in sé la universalità
delle cose, immobilmente, allo stesso posto; ed Egli ‘è’, unicamente; e questo
‘è’ è sempre; il ‘sarà’ non ci sarà
mai; ed anche nell’‘allora’ Egli ‘è’, poiché non v’è neppure il ‘passato’: non
vi è certo lì una qualche cosa che sia trascorsa, ma tutto vi persiste immobile,
perpetuamente, poiché è identico ed ama, per così dire, che il suo essere duri
in quello stesso stato. Ma ogni singolo suo essere è Spirito, è Ente e il loro
complesso è ‘onnispirito’ ed ‘onniessere’, mentre lo Spirito rende esistente
l’Essere nel pensiero, l’Essere, da parte sua, per il fatto stesso ch’è pensato,
dà allo Spirito il pensare e l’esistere. Pure, | 9 | condizionamento del
pensiero è qualcosa di diverso che è a un tempo condizionamento per l’essere.
Così, per entrambi a un tempo v’è, quale condizionamento, qualcosa che è diverso
dal pensiero e dall’essere. Certo è che essi coesistono insieme e non si
lasciano l’un l’altro: ma questo uno che è a un tempo Spirito ed Essere e
Pensante e Pensato risulta da una dualità: è Spirito in quanto pensa, è Essere
in quanto è pensato. Non potrebbe infatti aver luogo il pensare se non ci
fossero alterità ed identità.
Ed ecco sorgere i principi fondamentali: Spirito,
Essere, Alterità, Identità. Ed è bene includere altresì Moto e Quiete: Moto, in
quanto lo Spirito pensa; Quiete, poi, in vista della identità. Occorre
l’Alterità a che vi sia Pensante e Pensato o, altrimenti, se elimini l’Alterità,
si avrà una unità silenziosa; e poi anche pensato e pensato han da essere
diversi tra loro per la mutua distinzione – e l’Identità poiché lo Spirito è uno con se
stesso e tutti gli esseri dello Spirito hanno qualcosa di unitario in comune:
ché la differenza tra loro è nell’Alterità. La pluralità dei principî che così
risulta crea il numero e la quantità; e la qualità poi è la loro caratteristica
individuale. Da questi termini, come da tanti principî, scaturiscono le altre
cose.
V. – Così, molteplice è questo Dio, il quale sovrasta
sull’Anima; a lei tocca dimorare tra le cose terrene – ove mai vi si trovi congiunta – solo quando non voglia distaccarsene. Fattasi
vicino, allora, e unificatasi, per così esprimerci, con lui, ella cerca di
conoscere chi sia mai Colui che generò questo Dio, quel Semplice, dico, quel
pre-spirito, Colui che fu causa a che questo Dio esistesse ed esistesse
molteplice, Colui, infine, che produsse il numero. Perché, certo, il numero non
è già primo; così, pre-diade è l’uno e la diade invece ha il secondo posto e
sorgendo dall’unità tiene quell’uno come suo limite, laddove questa unità è
illimitata di per se stessa; mentre, ove mai sia fatta limitata, essa è di già
numero. Ma numero è come dire sostanza; e numero, poi, è anche l’anima. Certo,
né masse e neppure | 10 | grandezze costituiranno i primi principî; poiché tali cose grossolane, che la sensazione
crede reali, sono posteriori. D’altronde, anche nei semi, ciò che ha valore non
è già l’elemento umido ma ciò che non è visibile: ma questo è numero e ragione
formale. Ebbene, il numero, di cui si parla lassù, e la diade sono ragioni
formali e spirito. Spieghiamoci: v’è, da un canto, la diade indefinita concepita
in virtù di ciò che fa, per così dire, da fondamento e v’è, d’altro canto, il
numero sorgente da essa e dall’unità; ogni numero è forma come se lo Spirito
venisse, per così dire, informato dalle specie ideali che entrano in esso: esso
è poi informato in una maniera dall’Uno e in un’altra maniera da se stesso:
pensate al vedere che si traduce in atto; poiché il pensiero è una visione che
vede: due cose che sono una sola.
VI. – In qual maniera e chi mai vede, dunque, lo
Spirito? Ché anzi, come esiste Egli, addirittura, e come sorse da Colui sì da
vederlo persino? Attualmente, per certo, l’anima è tutta compresa oramai della
necessità che le realtà dello Spirito dovevano esistere così come abbiam detto;
pure, ella desidera vivamente chiarire a se stessa questo problema che fu già
famoso anche tra gli antichi pensatori: come, cioè, dall’Uno, da un ‘uno’ così
fatto come noi asseriamo che è l’Uno, come venne all’esistenza qualsiasi altra
cosa – molteplicità o diade o numero – ? O come mai, tutt’al contrario, Quegli non
perseverò in se stesso, ma fece scaturire una così diffusa molteplicità quale si
scorge tra gli esseri, quella molteplicità di cui però noi postuliamo che debba
risalire a Lui?
Sia detto, dunque, quanto segue, dopo aver prima
invocato Dio stesso non già con la parola che nacque, ma con l’anima, in una
tensione di noi stessi a Lui, nella preghiera, poiché solo in questa maniera noi
possiamo pregare: soli, Lui solo ! Proprio così: occorre che il contemplante
– mentre Egli se ne sta in se stesso come
nell’interno di un tempio e persevera tranquillo al di là di tutte | 11 | le cose – volga il suo sguardo alle statue rizzate già al di
fuori o, meglio, a quella statua che per prima apparve; la quale è apparsa come
ora diremo.
Tutto che si muove esige qualcosa che sia meta al
suo movimento; ma, non avendo Lui nessuna meta, noi non possiamo ammettere che
Egli si muova; intanto, se qualche cosa nasce dopo di Lui, necessariamente essa
è nata solo in quanto essa si volge eternamente verso di Lui. Sia lontana però
da noi, allorché parliamo di realtà eterne, la nascita nel tempo ! Applicando
loro – a parole soltanto beninteso – la nascita, per assegnar loro causa ed
ordinamento, dobbiamo riconoscere che, di fatto, ciò che nasce di là, nasce
senza che ci sia stato alcun movimento di Lui. Poiché, se qualcosa nascesse in
séguito al movimento di Lui, tale generato si leverebbe terzo a partire da Lui,
successivamente al movimento e non sarebbe già secondo. Ora, se v’è qualcosa
– un secondo – dopo di Lui, esso deve sussistere senza che il
Primo si muova, senza che esprima né un cenno né una volizione né, a farla
breve, un moto qualsiasi.
In qual modo,
allora, e che cosa dobbiamo pensare di Lui ch’è immobile? Splendore tutt’intorno
diffuso che, emana, sì, da Lui, ma da Lui che se ne sta fermo, come, nel sole,
lo splendore che gli fa quasi un alone d’intorno: splendore che si rigenera,
eternamente, da Lui, ch’è fermo. Del resto, tutti gli esseri, finché durano, dal
fondo della loro essenza emanano, tutt’intorno a loro e al di fuori di loro,
necessaria, una certa qual esistenza, collegata alla presenza della loro virtù
operante ed è come una figura degli archetipi donde germogliò: il fuoco emana il
suo interno calore; e la neve non nel suo interno solamente racchiude il freddo;
ma una magnifica prova di quel che s’è detto la dànno tutte le sostanze odorose:
infatti, per tutta la loro durata, qualcosa vien fuori da loro, tutt’intorno, sì
che dalla loro semplice esistenza il vicino trae
godimento.
Inoltre, tutti quanti gli esseri, giunti ormai a
maturità, generano: ma ciò che è sempre perfetto, sempre e in | 12 | eterno genera; e genera, s’intende, qualcosa d’inferiore al
suo essere. Che cosa dovremo dire, allora, di Colui che è perfettissimo? Nulla
può nascere da Lui se non quanto vi è di più grande dopo di Lui; ma il più
grande, dopo di Lui, si è lo Spirito e gli tien dietro come Secondo; vale a dire
che lo Spirito ha la visione di Lui ed ha bisogno di Lui, unicamente, mentre
Egli non ha affatto bisogno dello Spirito. Ancora: ciò che viene generato da Uno
che supera lo Spirito, dev’essere Spirito e lo Spirito alla sua volta supera
tutte le cose poiché le altre cose vengono dopo di Lui. Così ancora, l’Anima è
il Pensiero dello Spirito ed è, in certo senso, la sua attività, proprio come lo
Spirito è pensiero ed attività che si riferisce all'Uno.
Un po’ oscuro, a dir vero, è il pensiero
dell’Anima; poiché esso è, per così dire, solo un simulacro dello Spirito e deve
perciò volgere lo guardo sullo Spirito; ma lo Spirito deve parimenti volgere lo
sguardo su Quello, affinché sia Spirito. Lo vede, però, senza esserne staccato,
giacché Esso è immediatamente dopo di Lui e tra loro, come pure tra Anima e
Spirito, non c’è nulla di mezzo. Ogni cosa, poi, brama il suo Genitore e lo ama;
lo ama specialmente allora che siano soli il Genitore e il Generato; ma quando
il Genitore sia, per di più, il sommo Bene, per necessità il Generato è stretto
talmente a Lui da esserne separato unicamente per via di alterità.
VII. - Pure, noi chiamiamo lo Spirito figura di Lui solo perché dobbiamo parlare un po’ più chiaramente: in primo luogo c’è il fatto che l’Essere generato è pure, in un certo senso, un secondo ‘Genitore’ e serba molti tratti di Lui; e, precisamente, la somiglianza con Lui è sul tipo di quella che passa tra la luce e il sole. Ma non è Spirito, Lui ! Com’è, dunque, che genera lo Spirito? Gli è, ecco, che rivolgendosi lo Spirito verso di Lui, contemplava; ma la contemplazione è, di per se stessa, Spirito.
Infatti, ciò che comprende un oggetto esteriore o
è percezione sensibile o è pensiero: (lacuna: passo insanabile) sen| 13 |sazione, linea e il resto (lacuna); ma, il circolo è tale da essere diviso; invece
l’Uno, di cui parliamo, non è divisibile. – Sì, ecco, sia ben fermo, qui, che esso è unità,
ma l’Uno è pure la potenza di tutte le cose. Allora, le cose di cui esso è
potenza, proprio queste, dico, l’atto del pensare, distaccandosi, per così
esprimerci, dalla semplice potenza, contempla. Altrimenti, non vi sarebbe
proprio Spirito. Poiché, anche di per sé solo, l’Uno ha già – quasi avvertenza intima del suo potere (del fatto
cioè che può) – una sua realtà.
Certo si è, comunque, che lo Spirito – anche Lui da sé – determina a se medesimo il suo essere, proprio in
virtù del potere che deriva dall’Uno, perché l’essere è, vorrei dire, una parte
della realtà che appartiene a Lui e da Lui si diparte, e trae da Lui il suo
vigore e porta il suo essere a matura perfezione nella dipendenza e nella
derivazione da Lui.
Ma lo Spirito vede bene che da quella fonte in Lui
– che è, vorrei dire, un divisibile derivato da un
indivisibile – si riversa e il vivere e il pensare e ogni altra
cosa, per il fatto che Egli, l’Uno, non è nulla di tutto questo. Perciò, invero,
tutte le cose derivano da Lui, poiché Egli non è delimitato da forma alcuna.
Difatti, non è altro che unità, Lui. Se fosse tutto, Egli entrerebbe tra gli
enti. Per questo, Egli non è nulla di quanto è nello Spirito, ma solo da Lui
derivan tutte le cose, le quali, pertanto, sono altresì essenze; poiché sono già
determinate ed hanno, per così dire, una forma, una per una: naturalmente,
l’ente esige di non esser contemplato, press’a poco, in seno all’indeterminato
ma, tutt’al contrario, vuol essere saldamente piantato nei suoi confini e nella
sua stabilità; stabilità, la quale, beninteso, per gli esseri dello Spirito è
quella definizione e quella forma ond’essi prendono consistenza
reale.
Sì, è proprio questa la stirpe donde questo nostro
Spirito, ben degno di questa sì alta purezza, trasse il nascimento; né Egli poté
rampollare da altra fonte se non dal Primo Principio; ma, una volta che nacque,
Egli generò | 14 | ormai gli esseri tutti, simultaneamente al suo essere: cioè le
idee in tutta la loro bellezza, e tutti gli dèi del suo mondo
spirituale.
Ma, pregno com’è degli esseri che generò, e
ingoiatili poi di nuovo, per così dire, per tenerli in sé e non farli
precipitare nella materia né allevare presso Rea – così i misteri e i miti degli dèi fanno intendere
velatamente, narrando che Cronos, sapientissimo iddio, prima che Zeus nascesse,
serrava di nuovo in sé quel che generava – per tutto questo, allora, lo Spirito è colmo ed è
‘Spirito in sazietà’. In séguito – narrano – Egli genera Zeus, il quale è di già ‘Sazietà’
(figlio); tant’è vero che l’Anima la genera lo Spirito, lo Spirito che è già
perfetto. E certo fu necessario che Lui, maturo com’era, generasse e che una
così grande forza non restasse sterile; pure, non fu ammissibile, neppure in
questo caso, che il generato fosse migliore, ma questo dovette riuscire
inferiore, essendo solamente un simulacro di lui; parimenti, esso è
indeterminato in se stesso ma riceve la sua determinazione e, per così dire, la
sua configurazione ideale dal suo Genitore.
Tuttavia, il prodotto dello Spirito è un certo
qual pensiero e la parte pensante dell’anima ne avvera l’esistenza. Questa è
colei che si muove intorno allo Spirito, ed è luce di Spirito e orma a Lui
sospesa: per un verso, essa è concentrata in Lui e così se ne ricolma e se lo
gode e partecipa di Lui e pensa; per un altro verso, essa è in contatto con le
cose a lei successive o, meglio, genera, dal canto suo, cose necessariamente
inferiori all’Anima: di esse si dovrà parlare più tardi; ma le cose divine hanno
qui il loro limite.
VIII. – E, per questo anche Platone insegna i suoi tre
gradi: Tutto – egli dice (e vuol riferirsi a ciò che è primo)
– è intorno al Re del Tutto e il secondo è intorno
al Secondo e il terzo intorno al Terzo. Ma egli afferma ancora che la causa ha
un Padre, quella causa che – lo dice lui stesso – è lo Spirito; creatore, infatti, per lui è lo
Spirito; | 15 | Costui – egli dice – crea l’Anima in quella sua coppa. E
al padre della causa – ch’è poi lo Spirito – egli dà nome ‘il Bene’ e ‘Ciò che
sta al di là dello Spirito e al di là dell’Essere’ e in molti luoghi chiama
l’Essere e lo Spirito, Idea, senz’altro. Ond’è che Platone è consapevole che dal
Bene deriva lo Spirito (Idea) e dallo Spirito l’Anima; ed ecco che questi nostri
ragionamenti non sono una novità., né datan da oggi ma sono stati fatti da gran
tempo sia pure non esplicitamente e i nostri ragionamenti attuali si presentano
solo come interpretazione di quegli antichi con testi che ci garantiscono che
queste dottrine sono antiche, proprio attraverso gli scritti di lui, di Platone.
Così, anche Parmenide toccò, prima di Platone la dottrina enunciata, in quanto
fece convergere nell’identità Essere e Spirito e pose l’essere non già nelle
cose sensibili: ‘poiché è la stessa cosa pensare ed essere’ – egli dice; e poi
continua dicendo che l’essere è immobile, per quanto gli aggiunga il pensare ed
elimina da lui ogni movimento, a che esso perseveri identico, e ricorre alla
immagine di una massa sferica, poiché esso abbraccia tutte le cose strette
insieme e poiché il suo pensiero non è al di fuori ma nell’interno di esso.
Usando però nei suoi scritti il termine ‘Uno’, offre il fianco alla critica,
poiché questo suo ‘Uno’ si trova ad essere, in definitiva, ‘molte cose’; invece
il Parmenide platonico parla con maggiore esattezza critica, distinguendo tra
loro l’Uno primordiale, quello che è più propriamente ‘uno’, il secondo, ch’egli
chiama ‘Uno-Molti’ e il terzo che è ‘uno e molte cose’. Così, proprio nel nostro
senso, consente anche lui con la dottrina delle tre nature.
IX. – Anassagora, poi, affermando uno Spirito puro e non
mescolato, fa parimenti semplice il Primo e separato l’Uno; ma, quanto ad
esattezza, lascia a desiderare a causa della sua antichità. Anche Eraclito seppe
che l’Uno è eterno e spirituale: poiché solo ciò che è corporeo diviene
eternamente e scorre. Per Empedocle, poi, il Contrasto è separazione, mentre
l'Amore è l’Uno: così egli ancora lo | 16 | fa incorporeo, mentre gli elementi occupano il posto della
materia. Ma, più tardi, Aristotele diede, sì, separato e spirituale, il Primo;
dicendo, però, che esso pensa se stesso, non lo fa più primo, alla sua volta;
ammettendo, inoltre, molti altri esseri spirituali e, precisamente, tanti quante
sono le sfere nel cielo – affinché ciascuna possa venir mossa da un singolo
essere dello Spirito – egli interpreta il contenuto del mondo dello Spirito
allontanandosi da Platone, poiché ricorre al verosimile, non potendo più
giungere alla necessità apodittica.
Ci sarebbe sempre da dubitare, del resto, se vi
sia persino questa semplice verosimiglianza in tale dottrina; poiché, per conto
mio, è piuttosto verosimile che tutte le sfere rientrino in definitiva in un
coordinamento unitario mirando all’Uno e al Primo. Si potrebbe pure chiedere se,
per lui, la molteplicità degli esseri dello Spirito derivi da una unità – dal
Primo – o se nel mondo dello Spirito vi debba essere una pluralità di prlncipî;
se derivano da uno solo, essi devono evidentemente, per legge di analogia,
serbare lo stesso rapporto che serbano le sfere nell’àmbito del sensibile, dove
cioè l’una cinge l’altra e una sola, quella esteriore, le domina; sicché, lì
ancora, il Primo dovrebbe cingere tutto ed esisterà così il mondo dello Spirito;
e come quaggiù le sfere non sono vuote ma la prima è colma di stelle e le altre
hanno anche stelle, così anche lassù i motori devon serrare in loro stessi la
molteplicità e, precisamente, sarà questa davvero la verità di
lassù.
Se, per contro, ogni singolo essere dello Spirito
fosse un principio, allora i principi dovrebbero essere qualcosa di contingente;
e perché allora se ne starebbero insieme e, per giunta, in una concordia di
pensieri volti a un unico cómpito vale a dire alla sinfonia dell’universo cielo?
E come spiegare questa uguaglianza numerica tra gli esseri dello Spirito
– che sarebbero a un tempo motori – e le cose
sensibili nell’interno del Cielo? Che senso avrebbe una molteplicità di tal
sorta dal momento che, incorporei come sono, la materia non saprebbe separarli?
| 17 |
Per concludere, tra gli antichi, coloro che, da un
canto, aderirono particolarmente alle dottrine di Pitagora e dei suoi seguaci o
del suo predecessore Ferecide si tennero fermi a questa essenza – l’Uno
–
; solo che, d’altro canto, gli uni ne
elaborarono il concetto nei loro scritti, gli altri lo presentarono appena non
già negli scritti ma nelle lezioni, non scritte, delle loro adunanze: o lo
fecero cadere del tutto.
X. – Ma, quanto alla necessità di credere che sia così – vale a
dire che ‘Ciò che è al di là dell’essere’ è l’Uno (come la nostra argomentazione
voleva dimostrare, nei limiti, s’intende, in cui la dimostrazione riusciva
possibile in siffatta materia); che esiste, successivamente, l’Essere e lo
Spirito; e che al terzo posto c’è, nella sua natura, l’Anima – , essa, oramai, è
stata dimostrata. Ma, a quel modo che in seno alla realtà esistono questi tre
gradi descritti, così pure si vuol credere che in noi ancora essi s’avverano; io
intendo non già in noi considerati come esseri sensibili – poiché questi tre
gradi sono trascendenti – ma in noi considerati al ‘di fuori’ del sensibile (il
‘di fuori’, poi, va preso nello stesso senso in cui anche quei gradi del reale
son fuori dell’universo cielo); tant’è pure nel monco umano, nel senso in cui
Platone adopera l'espressione ‘l’Uomo interiore’.
In verità, anche l’anima nostra è una divina cosa
e rientra in una più alta natura, uguale corn’è, per sua essenza, all’Anima
universale. Datele poi lo spirito ed ella è perfetta. Lo Spirito però è
distinto: v’è quello che ragiona e quello che somministra il ragionare.
Evidentemente, questo spirito ragionante che si appartiene all’anima nostra non
ha affatto bisogno, relativamente al ragionare, di organo corporeo, ma ha, il
suo atto in piena purezza, a che sia in grado di ragionare puramente, sì che a
farlo trascendente e immune da commistione corporea e a porlo nella sfera più
alta dello Spirito, non c’è proprio da sbagliare. Infatti, non dobbiamo cercare
il posto in cui situarlo, ma dobbiamo porlo fuori di ogni spazio: poiché solo |
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trascendente, ciò che è immateriale, quando cioè lo Spirito sia solo e non rechi
in sé nulla da parte dell’essere corporeo. Ecco perché fu detto, dell’universo,
che il Dio ‘anche dal di fuori’ lo precinse di anima, per additare così quella
parte dell’Anima che persevera in seno allo Spirito; di noi, invece, Platone ha,
pure enigmaticamente, usato le espressioni: ‘sulla sommità’, ‘nel
capo’.
Del resto, anche l’esortazione al ‘distacco’ non
va intesa in senso spaziale per l’anima – tale separazione avviene già per virtù
di natura – ma solo nel senso ch’essa non s’inchini, magari con l’immaginazione,
e si faccia estranea, anzi, al corpo; così taluno riuscisse a trarre in alto la
superstite figura dell’anima e recasse seco, nel sublime, persino quanto di essa
è come radicato quaggiù, quello che è unicamente creatore e modellatore del
corporeo e s’affaccenda su di questo!
XI. – Ora, se la parte ragionante dell’anima attende a cose giuste e belle, e se il suo riflettere ricerca se questa o quella azione sia giusta o sia bella, ella deve necessariamente avere, ben fermo, qualcosa di giusto donde, poi, anche la riflessione sorga nell’anima; altrimenti, come potrebbe riflettere? Anzi, se l’anima in tali cose a volte riflette a volte no, occorre che esista in noi proprio lo spirito, il quale non calcoli sul giusto ma lo serbi in sé, ininterrottamente; e allora deve esistere altresì il principio dello spirito, una sua causa, un dio insomma, senza che esso si divida peraltro in noi; ché, anzi, Egli persevera e se ne sta immobile; ma, d’altro canto, Egli si fa contemplare nella pluralità, in relazione a ogni singolo individuo che sia in grado di accoglierlo, Spirito moltiplicato, vorrei dire; proprio come il centro del cerchio è per sé, eppure ogni raggio del cerchio ha un punto in comune con esso e le linee vi aggiungono il loro elemento individuale. Con qualcosa del genere, in noi, anche noi siamo in contatto e in unione con lui e gli siamo come sospesi; ma ci fissiamo saldamente in lui sol che convergiamo lassù. | 19 |
XII. – Com’è, allora, che pur avendo un così prezioso possesso, noi non solo non ce ne accorgiamo ma per lo più lasciamo inerte tanta, potenza e c’è persino chi giacque accidioso per sempre? Eppure quei valori esistevano nella loro potenzialità, sempre – Spirito e Ciò che, anticipando lo Spirito, è eternamente in se stesso – ; e in questo senso conviene anche all’Anima il cosiddetto ‘moto perpetuo’, poiché non tutto ciò che è nell'anima viene. Senz’altro avvertito da noi, ma esso giunge al nostro ‘io’ cosciente solo allora che rientri nell’ambito della sensibilità; se, per contro, una. singola parte dell’anima non rende partecipe dello sua attività la parte sensibile, questa attività, non penetra allora sino all’anima intera. Insomma, noi non abbiamo la vera conoscenza appunto perché siamo ancora, in compagnia della parte sensibile, siamo, intendo, non già una parte di anima – quella più bassa – ma l’Anima nella sua compiutezza. Si aggiunga poi che ognuna delle facoltà, dell’anima, vivendo sempre, deve parimenti, di per se stessa, esercitare sempre il suo proprio cómpito; ma il conoscere si avvera solo quando si abbiano un oggetto che si partecipi, e una percezione che l’avverta.
Concludendo, se deve esserci percezione di quei
valori della cui presenza abbiam or ora parlato, noi dobbiamo rivolgere verso
l’interno anche la nostra facoltà percettiva e fare in modo ch’essa orienti là
tutta la sua attenzione. Come quando uno, in attesa di udire una voce
desiderata., si distoglie da ogni altro rumore, affina il suo orecchio a quella
voce che, ove mai finalmente s’appressi, vale per lui più di tutto ciò che possa
udirsi, così davvero, anche quaggiù dobbiamo lasciar cadere ogni frastuono
sensibile – se non resti nei limiti della necessità – e custodir pura e pronta
la potenza percettiva dell’anima a udire le voci superne.